venerdì 14 agosto 2015

Spigolo Dibona alla Grande di Lavaredo

Come ad ogni Ferragosto che si rispetti, si sa, tornano sempre di moda i grandi classici: dai gavettoni in spiaggia ai pic nic in collina, dai film di Totò in tv ai servizi di Studio Aperto. E così il richiamo di una grande classica contagia anche noi alpinisti della domenica, portandoci per un breve ma intenso viaggio mordi-e-fuggi fin sotto la Cima Grande di Lavaredo, in uno dei luoghi più suggestivi di tutte le Dolomiti.
Arrivati in zona nel tardo pomeriggio, con l'Auronzo e il Lavaredo al completo, non ci rimane che stendere i nostri sacchi a pelo in un rado boschetto dopo la famigerata sbarra e addormentarci dolcemente sotto un bellissimo cielo stellato fino alle prime luci dell'alba, quando un non altrettanto dolce risveglio si compie al rombo di 3 Ferrari che sfrecciano a pochi metri dai nostri giacigli. Buongiorno! Frastornati, increduli e con ancora l'odore della gomma bruciata nel naso non rimane che alzarci e prepararci per la lunga giornata.
Sono già le otto quando arriviamo all'attacco di questa storica via aperta dal mitico Angelo Dibona nel 1909 e che tutt'oggi mantiene ancora quel fascino che, unito alla facilità di accesso, ne fa una meta gettonata da cordate di mezza Europa.


Ovviamente, nonostante la sveglia all'alba, siamo l'ultima cordata ad attaccare. Dalle relazioni in nostro possesso sappiamo che i primi quattro tiri sono obbligati, dopodichè la parete si apre perdendo la marcata verticalità: da questo punto in poi si possono seguire varie soluzioni. Più o meno incosciamente noi opteremo per seguire il filo dello spigolo a destra, percorrendo così una linea di difficoltà omogenea e costante per 13 tiri con alcuni passi aerei suggestivi.


La roccia è mediamente buona, verticale e appigliata, praticamente un sogno per noi "apuanici".


All'inizio troviamo chiodi e soste e riusciamo a salire piuttosto veloci.


Salendo si incontrano alcune cenge detritiche più o meno larghe. Il panorama è stupendo.


Seguire lo spigolo non è difficile, bisogna stare solo un po' attenti a non finire sotto alcuni strapiombetti.


La seconda parte è più avara di chiodi e soste e ci dobbiamo arrangiare rallentando di fatto la nostra salita. Per sicurezza abbiamo portato chiodi e martello.


Ogni tanto dal cielo vien giù qualche goccia, tanto per mettere un po' di pepe alla giornata.


Finalmente raggiungiamo la grande cengia anulare. Da qui la vista sulla Piccola è eccezionale. Purtroppo il cielo si fa sempre più grigio e decidiamo di non arrivare sulla vetta dalla normale ma di scendere in fretta anche perchè sappiamo che quello che ci aspetta non sarà né breve né banale. Trovato il punto per le prime 3 doppie seguiamo a ritroso il canale usato dalla via normale. Dopodichè per tracce e bolli perdiamo ancora quota. La tregua con il meteo finisce qui. Dal cielo inizia a cadere una fitta pioggia che si fa sempre più forte fino a diventare grandine. Tuoni e lampi fanno da surround. Ancora un paio di doppie in uno stretto "botafogo" che scroscia acqua e sassi. 



Traversiamo verso la Ovest seguendo ometti e tracce. Il temporale sembra finito. Le ultime 4 doppie ci depositano finalmente sul ghiaione e da li via verso l'Auronzo per la meritata cena. Sono le 19, abbiamo impiegato 6 ore per la salita e 4 per la discesa fino al rifugio.


Stanchi ma soddisfatti riprendiamo la via di casa che raggiungeremo più o meno alle 2 di notte.

Riccardo e Francesco